Cosa ci fa John McClane in un episodio di Squadra Speciale Cobra 11?
Ecco la prima cosa che mi sono chiesto uscito dal cinema. Il che è piuttosto grave se consideriamo che non si tratta di un qualsiasi film d’azione ma del quinto capitolo di una saga che vede nel capostipite l’esempio più bello di action adrenalinico e fracassone.
Al di là della provocazione iniziale, il paragone non è casuale: nel replicatissimo telefilm tedesco (Alarm für Cobra 11 – Die Autobahnpolizei) le trame erano banalotte ma gli stunt e le scene d’azione del team ActionConcept notevoli; in Die Hard 5 la trama (?) è iperbanale ma le scene d’azione sono iperboliche.
John McClane (Bruce Willis, e chi se no?), sempre più vecchio ma sempre in gamba, si sente in colpa verso il figlio (Jai Courtney, cane inespressivo) e dopo anni di lontananza vuole rivederlo. Quello è finito in galera a Mosca, nella Madre Russia, per omicidio, ma in realtà è agente sotto copertura della CIA. Missione: proteggere un prigioniero politico (Sebastian Koch) minacciato da un burocrate corrotto, ma c’è di mezzo molto di più…
Tutto qui. A chi sembra ok, lascio giudicare, poi, uscito dal cinema quante sorprese gli abbia riservato lo script senza prima telefonargli… scherzi a parte, McClane Sr. e Jr. giocano fuori casa, non c’è il senso dell’assedio, non ci sono grandi tattiche d’attacco ai cattivi e in fondo neppure il gran villain carismatico… che pure, almeno, c’era nel già poco classico Die Hard 4!
A peccare di estrema superficialità non è tanto la regia di John Moore, comunque abbastanza efficace soprattutto quando il
gioco si fa duro, ma piuttosto la sceneggiatura di Skip Woods (Codice: swordfish, Hitman, A-Team), totalmente in imbarazzo quando non vengono distrutte auto, scaricate armi da fuoco o abbattuti elicotteri ma si tratta di costruire due dialoghi in croce che approfondiscano gli stati d’animo dei personaggi o una tensione drammatica di livello minimo sindacale. Peccato.
Perché in fondo McClane è sempre McClane, ma così sembra quasi la parodia di se stesso: blatera battutine sceme mentre guida, si affida all’esperienza ma non all’intuito fulminante da sbirro di strada, è totalmente a disagio quando deve parlare al figlio ma glielo fanno fare con battute che neppure in Settimo Cielo (istigazioni all’omicidio a parte…).
Insomma, dopo il primo roboante inseguimento tra le strade di Mosca, il film si avvita e si affloscia per tenervi svegli solo quando, in altre tre occasioni (scene ben orchestrate e divertenti, per carità) ci sono botti, bombe, esplosioni e vari palazzi/vetrate/automezzi/velivoli che si fracassano tra loro. Con picchi di inverosimiglianza che in passato sarebbero stati non solo impensabili e mal tollerati, ma sono assolutamente incompatibili con il McClane di una volta, umano e ammaccato, non certo indistruttibile.
Tanti i rimpianti per quella che – a questo punto speriamo – potrebbe essere la pietra tombale del franchise. Il primo fece fare un balzo in avanti all’action cinematografico, e questo lo riporta indietro sotto tutti i fronti, paradossalmente quasi prima del capostipite, stilisticamente parlando! Per tacere poi del finale [non credo sia uno spoiler per nessuno dato che mai per un momento si crede che qualcuno sia in pericolo], roba da telefilm anni ’80 con famigliola felice risate al ralenti (con tanto di fermo fotogramma conclusivo!!).
Ragazzi di Hollywood, pensionate McClane e pure il figlio, fateli vivere felici e contenti nel New Jersey e lasciate Bruce libero di recitare in roba come Looper e Moonrise Kingdom…