Quanto è bello uscire dalla sala dopo quasi due ore di film e passare più di un’ora a discutere di quel dettaglio troppo inverosimile, quell’esagerazione, quell’incongruenza, quel ‘se fosse…’, quel design familiare di alcuni MOSTRONI ENORMI e quell’inutilità di utilizzare DEI CONTAINER NAVALI COME TIRAPUGNI?
Risposta: è molto bello.
Pacific Rim è tutto questo. Non importa neppure utilizzare spoiler per parlare dell’ultima esaltante fatica di Guillermo Del Toro, semplicemente perchè i trailer e le clip l’hanno già spoilerata praticamente in toto. Non c’è niente di diverso da quello che ti aspetti e, sì, di quello che può essere telefonato e banale. In compenso c’è tutto quello che ti fa uscire dalla sala con l’esaltazione che trabocca dalle orecchie (e forse anche qualcos’altro).
E sapete cosa? E’ bello così. Ecco la magia che solo chi sa scrivere davvero bene le storie (cinema, fumetti, libri, poco importa) e le porta a compimento con amore ed entusiasmo riesce a scatenare nel pubblico.
Pacific Rim è tutto questo, dicevo, e molto di più.
E’ un saggio su come utilizzare in modo intelligente e per niente irritante ogni possibile stereotipo, su come calibrare una storia altamente drammatica per grandi e piccoli, su come dare quel pizzico di 3D a personaggio bidimensionali e renderli piacevoli, persino quelli a rischio peggior macchietta.
Detto ciò: il film non è un’orgia di effetti speciali, combattimenti insensatamente lunghi contorti inestricabili e
Del Toro e il soggettista-cosceneggiatore Travis Beacham hanno frullato, tarantinamente, i migliori ingredienti delle sue – e nostre – passioni infantili per i robottoni e i godzilla-et-similia e ne ha cavato fuori un prodotto capace di accontentare gli studios nella produzione, il pubblico indifferenziato e i nerd, nostalgici e non. Già un’impresa di per sé.
Compatto il cast, utile alla causa e molto “cartoon”: Charlie Hunnam (l’eroe ‘standard’), Rinko Kikuchi (la… Rei Ayanami), i due scienziati di Charlie Day e Burn Gorman, anche se il ruolo più carismatico e azzeccato è quello di Idris Elba, semplicemente perfetto nei panni dell’autorevole e disincantato marshall Stacker Pentecost. Non parlo del personaggio di Ron Perlman perchè è tutto da vedere 😉
Questo film fa tornare bambini i trenta-quarantenni, intratterrà in modo solido le
Poi, certo, qualcuno dirà: è una sequela di dialoghi ammuffiti, psicologie da due soldi, colpi di scena prevedibili e stucchevoli sganassoni tra computer graphic. Qualcuno cercherà solo di elencare le incongruenze. Beh, spero che un dinosauro alieno alto 40 metri schiacci costoro sotto la sua zampona: in fondo, se uno vive senza godersi in modo spensierato le cose belle della vita, ha diritto di essere stupito, no?
P.S. per il 3D: ottima riconversione e risultato finale perfetto, ma penso che alla fine vederlo senza non sia poi questa grande perdita. Ancora una volta il 3D non si rende indispensabile…