Dunque, ci siamo. Arriva il nuovo Doctor, arriva Peter Capaldi, si apre l’ottava stagione del nuovo corso… e rimane Steven Moffat.
Showrunner che ha, adesso, la possibilità di dare una sterzata al suo stile e fare finalmente “sul serio” con un Dottore meno giovanile e svagato, meno piacione e romantico, meno ruffiano perchè non più ragazzino e caruccio.
Deep Breath, episodio che si attesta su livelli molto buoni, si gode come un film ma lascia qualche domanda sul tono del resto della stagione. Partendo dal presupposto che la qualità della serie è inalterata, si rileva quanto segue: – ATTENZIONE, SPOILER ALERT DA QUI IN POI –
Moffat non crede molto nei “suoi” personaggi non-gallifreyani, nonostante li metta continuamente in campo. Forse sono uno dei pochi a trovare il continuo uso di Madame Vastra, Jenny e Strax un po’ stucchevole – inoltre, ritengo che questi personaggi abbiano già dato tutto – ma è oggettivamente impossibile non vedere come vengano utilizzati poco e male. Mi spiego meglio: la rigenerazione è stata traumatica, e finalmente si vede il Dottore spaesato come dovrebbe essere, ma la sua condizione “fuori gioco” dura pochissimo. Quasi un contentino a citare “The Christmas invasion”, dove coraggiosamente Russell Davies lasciò David Tennant per mezzo episodio a letto svenuto per poi fargli fare un grande show in pigiama e spada alla mano. Erano i comprimari a tenere banco, e in maniera egregia: Moffat, invece, sembra non fidarsi mai dei “secondi” (anche se li conosciamo da tempo) e della companion e tiene sempre i fari puntati su Capaldi, che effettivamente cannibalizza tutto e lo fa in maniera egregia.
Clara è comunque ben utilizzata e rimane la stessa dolce maniaca del controllo, capace di tenere i nervi saldi quando occorre: nonostante Capaldi, la scena forse più bella dell’episodio è la sua, con il faccia a faccia con il capo dei cyborg e la fuga in apnea, scena mozzafiato. Il nuovo Dottore si rifarà poco dopo, ancora con il cyborg leader, grazie ad un discorso antireligioso da antologia (strano che nessuno abbia protestato al suo definire qualsiasi terra promessa “una fantasia inesistente”).
In sostanza, tra battutine sui vecchi Dottori, l’insistere sulla nuova faccia e le sopracciglia – glorificate fin dalla nuova sigla, che è una figata – e qualche tempo morto di troppo, il primo episodio va agli archivi con una grande scena d’apertura, una parte centrale un po’ piatta e un finale emozionante.
Non convince molto l’insistenza con la quale si cerca di rendere meno traumatico (come se fosse davvero traumatico) questo “cambio di faccia” del Dottore, temendo forse rimostranze o rigetto da parte del pubblico più giovane.
Non ho apprezzato particolarmente, poi, l’espediente facilone della telefonata da parte di Matt Smith. Facilone e ricattatorio, mettere in campo in maniera poco elegante un attore appena uscito di scena e a cui siamo comunque legati, per un “endorsement” che suona un po’ superfluo e stiracchiato.
Ma giocare sulle emozioni anche con poco savoir faire è un altro tratto distintivo di Moffat.
La parte conclusiva, poi, butta là quello che si presume sarà una delle presenze fisse della stagione, codesta Missy che a quanto pare desidera molto che il Doctor rimanga accanto a Clara… e che abita in un “paradiso” che assomiglia molto a un luogo già visto in passato.
Episodio promosso con riserva, perchè Doctor Who ha bisogno di un cambio di passo deciso e non una rimasticatura di “soliti” schemi narrativi e giochetti che sanno di coup de theatre. È anche vero che il Dottore non rimane mai quello dei primi episodi, e che una buona metà di stagione è un rodaggio che serve a modulare toni, modi e schemi comportamentali. Staremo a vedere.