“Spring break… per sempre!”
Quattro ragazze del college vogliono farsi uno spring break (pausa primaverile dagli studi) da sballo.
Lo faranno.
Prima i soldi: non sono abbastanza? Si rapina un fast food.
Poi gli eccessi: finisci nei guai? Ti salva un gangster-rapper dal cuore d’oro.
La strada è tutta in discesa… verso l’inferno.
Sta tutto qui Spring Breakes, opera di Harmony Korine, regista e musicista, già sceneggiatore per Larry Clark di Kids e Ken Park e director del seminale Gummo.
Non fatevi abbindolare, anche se capisco sia molto difficile, dalle grazie di Selena Gomez, Vanessa Hudgens, Ashley Benson e Rachel Korine (moglie del regista), peraltro ben in mostra: quello che lo sceneggiatore e regista ci racconta, attraverso lo stile schizofrenico, ripetitivo, ellittico e ossessivo è lo stato dell’arte di una generazione che ha perso e si è persa, complice anche il vuoto creato dalle generazioni precedenti.
Come altro spiegare ragazze e ragazzi poco meno che ventenni, più veri del vero, che faticano a scuola e sognano le spiagge dorate e lo sballo, oscillano tra cartoni animati in streaming e sesso promiscuo, chiamano la mamma col telefonino dicendo che saranno persone migliori, salvo poi ricorrere ad alcol & droga e magari fare la vita del gangster o dello spacciatore?
Il sesso evocato e poco mostrato, mentre gli altri eccessi siano qualcosa di praticamente quotidiano, è solo una delle cifre caratteristiche di Spring Breakes, che naviga goduriosamente a vista (per stessa ammissione di Korine: “l’idea nasce dall’immagine di ragazze in bikini armate”) raccontando senza approfondire, esattamente come i ragazzi che riflette, la perdita di valori, di innocenza, i sogni stupidi spacciati per filosofia di vita e l’attitudine criminale come sogno americano e paradiso in terra.
Che abbiate trenta o vent’anni, è impossibile non provare qualcosa per il senso di disfacimento, di nulla che trasuda dalla pellicola. Persino chi la troverà di una noia mortale (pochissima trama, sciocchi i dialoghi, tensione zero) non potrà negare il chiaro intento dell’operazione. Ovvero, (non) raccontare la (non) esistenza di figure che sono tanto reali quanto raccapriccianti. “Non voglio dimostrare nulla”dice l’autore, e non possiamo che dargli ragione, dica la verità o meno. Ma il film assume un significato che probabilmente travalica il suo reale valore o le sue intenzioni.
Le quattro ragazze – scelta ruffiana, perché in fondo potrebbero essere di qualsiasi sesso – sono la quintessenza del disfacimento morale, dell’assenza di modelli e contenuti. Il vago accenno alla vita ‘religiosa’ di Selena Gomez non è che un pallido background grottesco che non suona nemmeno come satira.
La ragazze del film spaventano perché sanno cosa vogliono senza sapere cosa fare della vita, così come James Franco-Alien, spacciatore di droga e armi, con tutto il suo ambiente sono degni rappresentanti dell’involuzione sociale e della decadenza culturale. Un vortice che si guarda l’ombelico e non riesce a vedere altro da sé, che si crogiola nei soldi (lanciati, annusati, estorti, regalati) e nell’idea di un potere e di un controllo che sono vanità inutile.
Questo, naturalmente, nella pellicola di Korine non è mai detto, né urlato, né fortunatamente sottolineato con parentesi didascaliche o moralistiche. Alla fine della visione, ci si sente vuoti, con un film che non ti lascia intenzionalmente nulla dopo aver fagocitato e rivomitato molto del nulla che ci circonda.
E il cuore non si può che stringere quando vedi dei ragazzini che giocano a fare i grandi, i potenti, i padroni del mondo, riunirsi attorno ad un pianoforte per cantare, armi in pugno, una canzone di Britney Spears che assume quasi i contorni di anti-inno generazionale della perdizione.
La magistrale fotografia di Benoît Debie crea un ambiente straniante, dai colori intensi e bellissimi, fino ad un finale iperreale e fluo: un immaginario che stride quasi con l’assenza di gioia e di entusiasmo, di calore e di pulizia di ciò che è narrato sullo schermo.
Azzeccata e ottundente colonna sonora dominata da Skrillex e Cliff Martinez.
Spring Breakers non è un bel film e probabilmente non è neppure piacevole da vedere. Ma rappresenta (consapevolmente e inconsapevolmente) in maniera più efficace di un documentario quella che sta diventando la deriva della nostra società occidentale.