Vedere il lato positivo sempre e comunque, combattere la testa che spinge a fare cose imprevedibili e dannose, ricostruirsi la vita e riconquistare la moglie. E’ chiaro il piano che Pat, uscito da un istituto mentale dopo otto mesi, vuole mettere in atto. Tornato a casa dei genitori, deve rimettere in sesto i pezzi della sua esistenza in frantumi, a causa del suo bipolarismo e di un brutto episodio che scopriremo presto.
Tratto dal romanzo di Matthew Quick “L’orlo argenteo delle nuvole”, il nuovo film di David O. Russell (The fighter) è una commedia dolceamara, che conferma la bravura (e la furbizia) dell’autore, anche sceneggiatore, nel trattare temi delicati e dirigere gli attori, come i premi confermano…
Fa sorridere la presenza invadente e un po’ pretestuosa di Chris Tucker, un personaggio che sembra sempre spuntare dal nulla e che alla fine risulta un po’ appiccicato con la gomma da masticare, sebbene non risulti (troppo) superfluo o fastidioso. Si ritagliano un grande spazio il babbo Robert DeNiro, in interpretazione gigiona ma controllata, intensa in alcuni momenti, e Jacki Weaver, mamma apprensiva a comprensiva.
Regia di mestiere ma capace di stravolgere spesso il punto di vista dello spettatore con movimenti di macchina nervosi ed esagitati, tra carrellate e inquadrature sghembe, come i protagonisti della storia.
Intelligenti molte scelte di sceneggiatura, che non indulgono nello spiegare troppo, ma suggeriscono i problemi nella testa di Pat e Tiffany, una scelta che premia nell’ottica del tono e della ‘onestà’ della pellicola, sebbene in altri casi sia inevitabile tratteggiare alcune figure in modo bidimensionale o semplicemente dialogico (l’amico sposato di Pat, il fratello, lo psicologo – spassoso – e la sprecata figura di Julia Stiles-Veronica, rigida sorella di Tiffany).
In definitiva, David O. Russell si conferma bravo sceneggiatore e regista capace, due qualità che si accompagnano ad una consapevolezza non offensiva per gli spettatori di ciò che ‘piace’ e di come questo vada rappresentato sullo schermo. Il che significa che il dramma c’è, sì, ma di sfondo, e a vincere sono la compassione e la simpatia, con un happy end che probabilmente appartiene solo alle favole. Questo non vuol dire che non sia un piacere vederlo, ma che la superficie va grattata molto di più se da commedia ‘pura e semplice’ con retrogusto drammatico si vogliono andare a toccare i veri sentimenti. Consigliato ai nevrotici, ai bipolari o presunti tali e ai romanticoni inguaribili, cui piacerà senza riserve.