Al servizio del Caos è un numero che mi ha richiesto un po’ di tempo prima di essere recensito in maniera definitiva, non a caso è uno dei numeri più chiacchierati e attesi del momento, dopo Mai più, ispettore Bloch.
Perché tutta questo vociare? Perché questa attesa?
Tutto è cominciato dalla copertina: Dylan Dog in versione photobomb divide un selfie con John Ghost e sullo sfondo appare un uomo armato di scure.
Ammetto che prima di leggere la storia questa scelta mi aveva fatto storcere il naso: “un selfie? Anche qui?!”; subito dopo aver finito l’albo mi ero già dimenticata della questione ma al momento di recensirlo mi sono ritrovata ad aver cambiato idea a riguardo; insomma, questa è la copertina giusta per l’albo e ne rappresenta alla perfezione i pro e i contro. Più che una decisione provocatoria e controcorrente, credo sia stata una delle più adatte alla storia da presentare.
Il secondo motivo per cui questo albo è stato a lungo sotto i riflettori è il suo protagonista: John Ghost, nuovo villain dell’Indagatore dell’Incubo.
È un personaggio perfettamente collegato nel qui e ora del suo fumetto e del nostro periodo storico: elegante, bellissimo, colto, raffinato ma allo stesso tempo sfrenato e crudele. Si impone fin dalle prime pagine come una figura manipolatrice, il burattinaio del caos.
La storia, per tutto l’albo, si divide e viaggia su due strade che tendono spesso ad incrociarsi: la prima è una lunga, ma parziale, presentazione di Ghost e la seconda che è semplicemente la vicenda , il caso dell’albo.
Trama: Dylan Dog viene reclutato da Elizabeth Moon per conto del suo capo, John Ghost, che desidera incontrarlo ed è “disposto a pagare il disturbo” pur di ottenere il suo scopo.
Dopo essersi recato dal misterioso cliente, Dylan fa la conoscenza di eclettico uomo di affari che lo assume per risolvere una serie di terribili omicidi, collegati tra di loro dalla presenza di cellulari di uguale modello: lo smartphone Ghost 9000, prodotto dalla stessa Ghost Enterprise.
Che dire del numero 341? Un albo che mi ha lasciata veramente perplessa perché può vantare di due grandissimi punti di forza (e con grandissimi intendo davvero eccelsi), parecchi punti deboli (grandi e piccoli) e contraddizioni presenti sia nella trama che nei personaggi.
Il problema più grande, che comprende forse entrambi gli aspetti della contraddizione, è la relazione tra Dylan Dog e la tecnologia.
Credo che sia giunto il momento di definire una volta per tutte in maniera chiara e decisa il partito da prendere, anche perché la questione si trascina dal numero 339; Da buon “Old boy”, Dylan si ostina a ripetere (o a ripetersi?) i soliti ritornelli di odio nei confronti dei computer, tablet, telefoni, smartphone e internet per poi destreggiarsi nella ricerca di informazioni su wikipedia (albo n°339), fino ad arrivare ad usare uno smartphone (seppur per azioni semplici come interagire con Irma e rispondere ad una chiamata) senza avere nessun tipo di esitazione per ritrovarsi subito dopo a fare, persino, “una ricerca su internet” (n° 341).
Riflettendo a proposito, ho deciso di ripensare alla mia personale esperienza con le nuove tecnologie: ho 24 anni e sono sempre stata favorevole al “progresso tecnologico” ma quando mi sono trovata ad affrontare un cambiamento sostanziale, come il passaggio dal t9 alla tastiera qwerty o dalla tastiera qwerty al touch, ho dovuto aspettare del tempo, seppur breve, prima di adattarmici completamente.
Come può, dunque, un uomo da sempre estraneo alla tecnologia e non più giovanissimo a relazionarsi in maniera così serena nei confronti di qualcosa a lui completamente alieno? Non c’è mai un’esclamazione di frustrazione, né un’incomprensione né tanto meno qualche sano attimo di panico nei confronti di qualcosa che non si conosce. A quanti non è mai capitato di non sapere da che parte cominciare dopo aver appena cambiato telefono?
Un altro comportamento contraddittorio del protagonista, sempre legato alla tecnologia, è il suo atteggiamento “poco alla Dylan Dog” nei confronti delle implicazioni etiche e sociali che ha la produzione di telefoni.
Nell’albo ricorre più volte la critica nei confronti di questo sistema, sia attraverso immagini senza dialogo ma di grandissima eloquenza che ritraggono fedelmente la catena di assemblaggio di smarphone ad opera di bambini, sia attraverso la spiegazione della funzione che ha la greenockite e di allusioni alla violazione della privacy ad opera di industrie produttrici di dispositivi digitali.
Anche quando Dylan si trova a faccia a faccia con uno dei più grandi produttori di smarthpone perde l’occasione di tirare fuori una delle sue solite ramanzine moraliste tipiche del personaggio.
Perché? Perché il giustiziere delle cause perse e impopolari questa volta resta in silenzio?
Anche quando sembra compiere una scelta decisamente in linea con la sua indole, buttando il Ghost 9000 nel cestino, subito dopo ha un ripensamento e decide di riappropriarsene.
Interrogato, risponde con una frase al limite del fabiovolismo “Non c’è modo di sfuggire alle responsabilità del sistema se decido di viverci dentro. Far finta che una cosa non esista non la rende meno reale! Allora, tanto vale tenermelo, questo aggeggio… almeno mi farà da promemoria di tutte le mie colpe, delle nostre colpe!”.
Andiamo in pace, nel nome di Cristo.
Credo che sia giusta l’intenzione di voler cambiare l’approccio che Dylan Dog ha nei confronti della vita e della tecnologia, anche perché nel 2015 una persona che vive completamente estraniata dalla realtà tecnologica è completamente avulsa da questo preciso contesto temporale.
Questo “upgrade” non può avvenire in soli due numeri senza passare per crisi e ripensamenti, è giusto per il lettore affrontare e vivere la crescita del personaggio vivendo insieme a lui tutte le sue fasi: ne guadagnano sia il realismo che lo spessore dello stesso.
Uno dei due elementi che mi hanno fatto apprezzare questo albo sono i disegni, questa volta a cura di Angelo Stano (da pag 5. a 12 e da 95 a 98) e di Daniele Bigliardo (da pag. 13 a 94), scelta che si è rivelata essere duetto incredibile: le tavole di Stano sono sempre magistrali e parlano dove la sceneggiatura non arriva. I primi piani di John Ghost e del suo sguardo raccontano perfettamente il tipo di persona che è, senza che debba dire qualcosa o fare alcunché. Non c’è niente da fare, Stano riuscirebbe a rendere irresistibile anche il più spregevole degli esseri viventi.
Bigliardo regge il confronto, donando infinite sfumature alle azioni grazie alla efficacissima espressività dei personaggi. Il “suo” John Ghost, per quanto sensibilmente diverso da quello di Stano, è meno femmineo e più virile, come se disvelasse la sua vera natura, il suo vero volto.
Il secondo e ultimo elemento positivo è John Ghost stesso. La sua introduzione ha sancito il vero e proprio cambiamento positivo per la testata. Abbiamo un nuovo “mostro” da fronteggiare completamente diverso da tutto ciò che abbiamo incontrato fino ad ora. Bisogna lasciare perdere per un momento i mostri, gli assassini, i pazzi e Xabaras stesso, perché John Ghost si, sì, antipatico fin da subito ma allo stesso tempo è praticamente impossibile prendere le distanze da lui. Come si può dubitare un uomo dall’immagine così vincente?