Per affrontare la recensione di un’opera come Vittima degli Eventi, occorre iniziare da alcuni distinguo.
Per non travisare le mie parole, e non uso la parola giudizio per diverse ragioni, faccio una breve premessa: sono un lettore e un estimatore del Dylan Dog “classico”, ho detestato il numero 100, ho odiato più o meno ogni tentativo di continuity e di storia delle origini del nostro Indagatore dell’Incubo e della sua allegra famigliola. Ho trovato triste l’incanalarsi delle storie in un progressivo vuoto pneumatico di idee e del protagonista in un buonismo fastidioso e d’accatto. Però capisco che sia fisiologico in testate che non contemplano una fine e durano da quasi trent’anni.
Lascio da parte il capitolo cinema (quello che devo dire lo farò dopo) e vado dritto al punto: mai come nell’ultimo anno si parla di Dylan, quasi da provocare crisi di rigetto: ben venga la fase 2, ben vengano nuovi scrittori e disegnatori (hallelujah), ben venga una campagna aggressiva sui social network per rilanciare le vendite. Insomma, tutto quello che serve per dare nuova linfa ad un personaggio artisticamente moribondo è ben accetto.
Ad una condizione: capire che inseguire il concetto di Dylan Dog “sclaviano”, del vecchio Dylan, dello spirito originario… non ha più senso. Persino il papà Tiziano Sclavi, con tutto il rispetto, non ha più saputo scrivere il suo personaggio – ma poi perché chiamarlo così, è il suo alter-ego e lo sappiamo tutti – negli ultimi anni. Dylan si è trasformato in un pretesto per criticare il mondo esterno brutto e cattivo, il capitalismo, la gente stronza e schifosa, i soldi che rovinano il mondo, la guerra e la droga… via via con meno sensibilità e con sempre più cipiglio da vecchio trombone (detto con immenso affetto).
Cosa c’entra tutto questo con Vittima Degli Eventi, mediometraggio firmato da youtuber affermati come Claudio Di Biagio alla regia e alla sceneggiatura da Luca Vecchi? Che dopo anni di nulla e di scottature pesanti, la visione di qualche immagine e teaser ha riacceso nei fan – anche quelli che hanno lasciato la testata – la speranza di vedere un Dylan live-action fatto come si deve, fedele al modello originale e capace di dare il “la” a qualcosa di nuovo. Capita poi, questo prodotto, nel momento perfetto, quello del rilancio del fumetto (ma dopo due numeri ancora si attendono reali valori qualitativi…), ad opera di Roberto Recchioni e un team che mischia vecchio & nuovo.
Dunque, entusiasmo vero o dovuto in gran parte all’effetto “oasi nel deserto”? Se non c’è nulla di meglio in giro, il rischio è quello di dare un giudizio a qualcosa al di là dei suoi reali meriti.
Dopo una campagna di crowdfunding strombazzatissima (chiusa con circa 30mila euro) e un battage pubblicitario su internet di ampia portata, con testate online sovraeccitate a sparare ogni nuova foto come un’anteprima galattica imperdibile, finalmente l’ho visto, questo Vittima degli Eventi. Tre volte. Una su “grande schermo” a Lucca Comics, poi due comodo a casa, da solo e in compagnia (vedi sotto).
Dylan che abita a opera a Roma era inevitabile e va benissimo, anzi, regala delle soddisfazioni: è bello vedere il nostro antieroe in un contesto nostrano e non nella finta Londra (ferma agli anni Ottanta?) del fumetto.
Iniziamo dalla cosa migliore di tutte: la fotografia di Matteo Bruno. Raramente si è vista per un’opera destinata a YouTube una cura formale che supera senza fatica gran parte del cinema professionale italiano (e molto straight to video coi controcoglioni estero). Stesso discorso per le scenografie e la messa in scena degli ambienti, ricostruiti e/o reinventati con attenzione maniacale al dettaglio. Chapeau. Un plauso anche alle musiche originali di Helio di Nardo e Francesco Catitti.
Reparto attoriale. Della Vukotic (Madame Trelkovski) e Haber (Ispettore Bloch) inutile parlare, anche girando al minimo farebbero un figurone (e lo fanno). Voglio lodare apertamente Sara Lazzaro nei panni di Adele, la protagonista femminile, per l’intensità e gli sguardi capaci di parlare da soli, soprattutto durante il finale.
So che state aspettando sadicamente che parli di Dylan e il suo interprete Valerio Di Benedetto (Spaghetti Story)… voglio essere corretto: per me, esteticamente, è più che dignitoso e riflette bene un giovane Dylan più tenebroso del solito, come da scelta di sceneggiatura. Sotto il profilo della recitazione, però, non ci siamo. Saranno le battute un po’ troppo seriose e i monologhi ampollosi, sarà l’atteggiamento sempre meditativo e accigliato affibbiatogli, però se sul versante espressivo Di Benedetto quasi si salva, sotto quello della dizione perde punti rispetto a chiunque, ed è un dato oggettivo. Il confronto interpretativo con il Groucho di Luca Vecchi (di lui riparliamo dopo) è addirittura improponibile. Ma non vorrei essere troppo duro con un giovanissimo interprete che ha ampi margini di crescita, e che sono sicuro avrà.
Archiviata la questione tecnico-visiva-attoriale, rimane da affrontare il “cuore pulsante” di qualsiasi opera: la scrittura. Senza una progressione drammatica e delle battute degne di questo nome, anche il prodotto visivamente più impressionante stanca lo spettatore dopo 10 minuti e si sgonfia come un palloncino bucato.
Ora, Vittima degli Eventi parte come detto avvantaggiato da un background conosciuto alla maggior parte degli appassionati di fumetti e cinema. Penso che difficilmente un non-fan si avvicinerà a questo mediometraggio; per amor di correttezza ho fatto pure una prova e sono partiti sbadigli e WTF dopo 20 minuti. Nonostante questo, o proprio per questo, senza la stampella del deja vu carta-schermo la struttura scricchiola.
Purtroppo infatti, arrivando alle dolenti note, c’è da dire che VdE funziona meglio proprio nei momenti in cui “gioca in casa” con l’iconografia classica di Dylan, e dove il comparto scenografico-fotografico-sonoro crea suggestioni che vanno oltre il bisogno di costruire una drammaturgia: l’ingresso della casa dell’Indagatore dell’Incubo e il suo studio, la stanza “da lavoro” di Madame Trelkovski, il misterioso negozio Safarà con il suo padrone, Hamlin.
La scrittura di Luca Vecchi, ricca di citazioni e suggestioni, si dimostra acerba e sovraccarica, facendo ampio (ab)uso della voce off che risulta a lungo andare ingombrante e pesantuccia. Niente di grave, certo, ma distante da quello può essere un prodotto fruibile da tutti con soddisfazione. A suo favore va detto che non si scade quasi mai nel banale: anche se la supremazia del personaggio di Groucho è evidente… consapevole o meno, lo scrittore s’è ritagliato la parte migliore. Recitata, peraltro, benissimo.
Dunque, al netto della buona prova generale, c’è da chiedersi se alla fine questo mediometraggio meriti tutte le lodi sperticate che sta rastrellando oppure no. Se andate cercando lo spirito “sclaviano” (che giova ricordarlo, è l’unico mood e ragion d’essere dell’esistenza di Dylan Dog) lo troverete nell’eccessivamente vituperato e rimosso Dellamorte Dellamore (1994) di Michele Soavi, che non è – ma è – IL film che segna l’apice del Dylan classico come “movimento sentimentale” e non semplice prodotto seriale o icona inamovibile.
Tornando al VdE, e chiudendo il discorso, come dimostrazione di “muscoli” professionali, la missione può dichiararsi compiuta: se invece si va cercando un’opera “cinematografica” e riuscita al cento per cento, qualche perplessità resta. Intendiamoci, il mediometraggio è da vedere e godere, anche fosse soltanto per la cura con il quale è stato confezionato (non dico il rispetto perché spesso si gioca proprio sul tradimento del modello per generare interesse!)
Di Biagio, Vecchi & c. meritano comunque applausi, stima e sostegno per aver realizzato un’opera che ha la sua dignità e regala soddisfazioni, in un panorama nazionale asfittico e immobile per quanto riguarda produzioni fantastico-fumettistiche sugli schermi, siano di cinema o di pc. Speriamo che possano fare altro, e sempre meglio.