The Walking Dead 2… il finale di metà stagione

*ATTENZIONE SPOILER!* Leggere solo dopo aver visto l’episodio 2×07 “Muore la speranza”

The Walking Dead colpisce e saluta. Ti piazza un bel ceffone a tradimento e poi scappa via, sicura di avere due mesi e mezzo di tempo per tormentarti con la sua lontananza.

In un andamento perfettamente circolare, la puntata numero sette chiude i conti e rilancia nuovi percorsi verso un futuro incerto. Quasi tutto è stato rimesso in discussione, non ci sono sicurezze, i nervi stanno per saltare e ora più che mai ogni rapporto tra i personaggi è incerto, con situazioni al limite della deflagrazione.

Rick ha avuto l’ennesima lezione di vita su quanto sia inutile conservare la speranza o aspettarsi qualcosa dagli altri. Shane è sull’orlo della schizofrenia, una vera mina vagante. Lori è al centro della maschia contesa dei due per la leadership e la paternità in arrivo, una Ginevra divisa tra il suo Artù idealista e il suo Lancillotto homo homini lupus. Andrea sta prendendo una brutta strada, e per giunta armata. Dale da anziano rompiscatole qual è rischia di mettersi seriamente nei guai con lo squilibrato Shane. In tutto questo il rude Daryl rischia di farci la figura migliore, ed in effetti risulta uno dei migliori caratteri tratteggiati dagli sceneggiatori, uno a cui è facile voler bene. E Glenn… beh, lui è innamorato, figuriamoci.

TWD è una serie che si ama o si odia. Difficile rimanere indifferenti. A me piace e non l’ho mai nascosto, nonostante tutte le pecche che le si possono imputare. Sotto c’è un gran lavoro di scrittura, un dosaggio acuto degli ingredienti (alle volte, vero, troppo diluiti) e un grande amore per il genere, che in questo caso è lo zombesco che se pure fa da sfondo resta sempre il motore di tutto e regala momenti di puro entertaiment fatto con i controcazzi. Un mondo apocalittico ma in fondo quasi credibile e inquietante nella sua quotidianità. Il merito di TWD sta nel non eccedere mai e rimanere coi piedi per terra, ecco perché forse qualcuno lo critica tanto aspramente. TWD, con tutti i distinguo del caso, vuole rimanere nell’alveo della credibilità. Ed ecco perché i rapporti tra le persone descritte nel telefilm, sebbene accelerati o espansi per ragioni drammaturgiche, sono comprensibili, condivisibili e spesso opinabili e discutibili.

Senza contare che alla luce dei nuovi episodi tanti tasselli cominciano ad andare al loro posto. Insomma, i rapporti umani contano più delle cartucce sparate, non per nulla contate e razionate, come il cibo.

Ecco perché rimango della mia idea e apprezzo il buonissimo lavoro di sceneggiatura e realizzazione, contrariamente a chi (forse) vorrebbe fuoco e fiamme e accusa la serie di essere Beautiful o Melrose Place con i morti viventi!

La verità probabilmente sta nel mezzo. Il successo di TWD sta nel suo essere perfettamente trasversale, una soap opera scritta bene con gli zombi. Una soap nel senso nobile del termine. Forse quando si legge un fumetto queste cose si notano meno, ma se fate caso a certi dialoghi logorroici scritti da Robert Kirkman sulla carta e poi pensate a come portarli in scena, vi renderete conto di come sia difficile trasporre live-action quello che un balloon, da solo, può far emergere. È estremamente più semplice dare profondità a un personaggio in un’opera letteraria (sebbene l’originale non indulga mai nei pensieri dei protagonisti ma passi sempre e solo attraverso le loro parole e azioni, punto a suo favore).

A questo punto, la prima serie si configura davvero come un lungo, trattenuto prequel delle vicende trattate nella numero due. La cui prima parte è arrivata laddove voleva, prendendosi il suo tempo e arrivando, finalmente, ad un punto di non ritorno nei rapporti e nelle relazioni tra i personaggi principali.

Non c’è più tempo per ulteriori promesse: adesso vogliamo che vengano mantenute. E basta.

The Walking Dead ha la sua ora della verità a partire (per noi) dal 13 febbraio 2012.