C’era poco Philip Dick in Atto di Forza. Ce n’è ancora meno in Total Recall. Che, se vogliamo dirla tutta, non è esattamente un remake del film originale ma un rereading dell’opera letteraria.
Che viene tradita, certo, e alla grande. In pratica il racconto di Dick è servito soltanto come spunto per raccontare qualcos’altro (più che uno scrittore, un soggettista).
Anche le due opere cinematografiche in sé sono profondamente differenti, e non poteva essere altrimenti: veicolo per uno Schwarzenegger in grande spolvero, con un regista beffardo e iperbolico uno, salto nello sci-fi d’azione per un giovane director rampante come Len Wiseman e un cast glamour l’altro.
[Da ora in poi, per distinguerli, chiamiamo TR quello nuovo e ADF quello vecchio].
La storia, di base, è la stessa e lascio perdere presupposti che tutti sicuramente conoscono per arrivare al sodo. Laddove ADF si concentrava sul versante grottesco-satirico della situazione, com’è peculiarità di un regista “carnale” come Paul Veroheven (da sempre più interessato alla sostanza viva che alla materia fantascientifica, basti vedere come i suoi film di genere grondano sangue!), TR spinge sul pedale action-fracassone, e lo fa senza biglietto di ritorno, addentrandosi nei lidi del film senza pretese per ragazzini. Accettato questo, siamo praticamente già al termine della recensione: dell’originale resta poco altro, in un risultato più vicino a Paycheck (che brutti ricordi…) che a Blade Runner.
Il film di Scott viene effettivamente evocato nella messinscena dello spazio della Colonia, megalopoli meticcia dove le strade sono fiumiciattoli, le case stanno sospese a mezz’aria e le strutture sono sporche e fatiscenti. Manca un po’ di descrizione della società “quotidiana”, ma l’idea, nel complesso, è resa bene.
Quello che manca totalmente a TR (e siamo sicuri che avrebbe voluto averla) è ogni tipo di suspense e ambiguità: la questione della memoria cancellata e sovrascritta, i doppi giochi e le personalità in ballo vengono schematizzate con una sciatteria che rasenta l’assurdo. Tutto viene squadernato attraverso una sceneggiatura che alle parole sembra preferire il codice binario. Spiace vedere che l’autore è Kurt Wimmer, uno capace, ogni tanto, di cacciare fuori dal cappello dei simpatici mid-cult (Equilibrium) e che in generale ha dimostrato di saper descrivere i territori di confine in modo ben più convincente. Si nota che la premessa del film era sentita: lo sfruttamento di un continente su un altro, due culture e popoli diversi con tanto di leader e mass-media ubiqui, imperialisti e combattenti per la libertà. Peccato che di questo vediamo ben poco, e nulla è approfondito, se non il minimo sindacale per far carburare l’azione. Sapete, ci sono 200 milioni di dollari di budget a chiedere che non ci siano troppe complicazioni in mezzo…
Come il suo protagonista Quaid/Hauser, TR ha solo bianco e nero, senza la potenza del grigio che avrebbe potuto evocare. Ma, lo abbiamo detto, questo è soltanto un film di fantascienza per ragazzini. E sarebbe interessante vedere le reazioni di un quindicenne di fronte alla nuova versione e poi a ADF. Chi s’accontenta gode, ma poi non deve lamentarsi.
Accanto a un Colin Farrell della cui limitata gamma espressiva è inutile discutere (però alla fine rimane simpatico, che ci volete fare?), la spietata e incazzata nera (sebbene sembri costantemente una pubblicità della L’Oréal, anche quando si alza dal letto) Kate Beckinsale e una più fragile ma combattiva (diciamolo, è adorabile) Jessica Biel. Bryan Cranston sprecatissimo!
Il resto è routine. Per noi, com’era prevedibile, vecchio batte nuovo e tutti a casa.