NOAH – la recensione

noah (3) Ho atteso qualche giorno, prima di scrivere la recensione di Noah, l’ultima opera di Darren Aronofsky, perché mi ci è voluto effettivamente un po’ di tempo permetabolizzarlo.
Sgombriamo il campo dalle facili battute: ok che la Bibbia è il primo fantasy della storia (e forse il più grande), ok che questo film può essere etichettato come un naufragio o un diluvio di cazzate, ok. Ci siamo capiti.
Noah è, in buona sintesi, un’opera che non merita i fiumi d’inchiostro reale e digitale che gli sono e gli saranno riservati. Intrattiene, almeno per metà, ma rimane un oggetto indefinibile (non nel senso migliore del termine), con scarsa identità e troppe idee gettate nel calderone. Al di là di un aspetto visivo interessante e ben giocato, il film manca di identità ma soprattutto di mordente. Un po’ troppo facile giocare sui dubbi squisitamente moderni che solleva la “missione sacra” di Noè e squadernati con i dialoghi e la contrapposizione manichea con il re incarnato da Ray Winstone e “figli di Caino“.
Un’ambiguità mai sviluppata appieno che – se non dialogica – viene risolta in maniera elementare e secca: la famigliola dei buoni, timorata e vegetariana, il cui patriarca è spinto/vinto dall’ossessione e motore unico dei conflitti esterni ed interni; i cattivi cattivissimi (un po’ semplice farsi domande sull’eventuale presenza di innocenti quando sei al sicuro e gli altri annegano) che vivono e agiscono in modo selvaggio e squarciano agnelli a mani nude.
Come se gli uomini di Dio nel corso delle sacre scritture, prima e dopo l’Arca, non l’avessero mai fatto… Ma è solo una delle tante “leggerezze” diluite in questa (lo dico? lo dico) fiera del pacchiano messa in piedi da un Aronofsky regredito, dopo The Wrestler e Black Swan, ai temutissimi tempi di The Fountain.
Bibbia e New age possono coesistere? Eccome, se per questo regista l’antico testamento può trasformarsi nella Storia Infinita ibridata con i Transformers: sto parlando dei Vigilanti, gli angeli caduti fusi con fango e roccia che sono un utile pretesto per colpire i bambini e giustificare la costruzione dell’arca in tempi record (sebbene questa assomigli più a un Kinder Colazione Più in vimini).
Ecco, tra computer grafica non irresistibile (soprattutto per gli animali), eccesso di paesaggi in time lapse e colori ipersaturi, ridondanze visive e narrative, fatale assenza di ritmo in più punti, la pellicola si perde e raramente ritrova un guizzo interessante.
Il colpo fatale è dato da una seconda parte senza alcuna tensione: sappiamo benissimo che Noè non può morire e che la sua famiglia è destinata a ripopolare la Terra… Giocarsi l’ultima ora di film sulla falsa prospettiva di estinzione e di infanticidio da parte del protagonista è la mazzata fatale alla resistenza dello spettatore.
Aronofsky sembra più impegnato a realizzare singole sequenze d’impatto, in special modo quelle legate all’aspetto virtuosistico, visuale e arty: il racconto della creazione del mondo, ad esempio, forse il momento migliore di tutta l’opera, anche se di una paraculaggine che raggiunge livelli stratosferici (mostrare l’evoluzionismo fino ad un passo dagli “esseri di luce” Adamo ed Eva é quantomeno pilatesco).
Ma ci interessa il cinema, più che la videoarte, ed ecco perché Noah è un film zoppo, ma che mentre zoppica ti pesta pure i piedi con la stampella: non basta un bel comparto visivo, qualche grandiosa scena di massa, una battaglia stile Roland Emmerich (è un complimento come un’offesa, lol) e la costante ricerca di un respiro epico a tenere in piedi un kolossal biblico che sembra più la versione dark di un cartoon del sabato mattina su JesusTv.
Russell Crowe sostiene la parte del Noè gladiatorio con impegno e giusta intensità, nonostante qualche momento di pilota automatico e una schizofrenia di look niente male (è l’unico che invecchia e cambia 3 tagli di capelli, vanitoso!). Jennifer Connelly rinsecchita elargisce monologhi lamento si è i tre figli, Logan Lerman a parte, sono decorativi; Emma Watson, ahimè, conferma quelle 4 smorfie te che la rendono carina ma poco aderente ai ruoli tormentati. Hopkins incommentabile nel suo solito cliché di vecchietto rimbambito ma cool (Matusalemme forse è un personaggio troppo sacrificato) e Ray Winstone strabordante che declama proclami di guerra e pensa d’essere nel Signore degli Anelli.
Per favore, date ad Aronofsky solo copioni minimalisti e storie di riscatto e morte a budget ridotto. O almeno fategli mangiare una bistecca.