The LEGO Movie è un sogno che si realizza: ma aspettate! Non soltanto a livello più “elementare” (un lungometraggio sui mitici mattoncini della nostra infanzia) ma anche su un piano più complesso e articolato.
Un film che si basa su giocattoli ma non è uno spot, assume piena dignità e valenza e assesta qualche sonoro schiaffo a cartoon ben più blasonati, fossilizzati nelle loro strutture standard; un film che gioca sull’effetto nostalgia ma mai, neppure per un momento, puzza di vecchio o gioca la carta della strizzata d’occhio; un film, infine, che è una gioia per gli occhi dei piccoli ma anche un grande luna park per i grandi, con citazioni non banali e comicità di tutti i tipi.
La mia non sarà una recensione solo elogiativa, con i LEGO sugli occhi: la pellicola dei due ormai navigati esploratori della commedia, animata (Piovono polpette) e non (21 Jump Street) Phil Lord e Chris Miller, dimostra però una grandissima maturità e soprattutto vale il prezzo del biglietto in tutto e per tutto. Possiamo discuterne quanto vogliamo, ma l’arte dell’intrattenimento ha raggiunto nella forma dell’animazione orizzonti che spesso il live action si sogna: ritmi serrati con gag a raffica, ipercitazionismo, follia narrativa e sperimentazioni impensabili in un prodotto “per grandi”, pessima definizione per indicare un modo di fare cinema ancora radicato in modo stretto al target.
The LEGO Movie è uno spasso: tutto è realizzato con mattoncini – stop motion e computer grafica -, qualsiasi cosa che si muove sullo schermo è scomponibile (dall’acqua al cielo!) ed ha un fortissimo senso di anarchia alla base, riscontrabile dagli universi paralleli dove le costruzioni si fanno via via sempre più amatoriali e sghembe. Il bello è che tutto avrà una spiegazione in vista di una parte finale intelligentissima e coerente, che non svelo per lasciare una sorpresa che aggiungerà ancora più livelli di lettura a questa pellicola che ha già sbancato meritatamente in più di mezzo mondo.
C’è poi un approccio inedito anche nell’affrontare la parabola del protagonista: Emmet è un comunissimo “omino LEGO” operaio, e già questo ci sembra impossibile nell’epoca in cui ormai ogni personaggio reale delle costruzioni ha un’identità definita: in più, vive in un sistema regolato da leggi ferree (le istruzioni!) che tutti rispettano. Ma Emmet è proprio comune, quasi vuoto: ogni abitante della cittadina ha almeno una caratteristica saliente, lui no. Eppure viene individuato da una profezia pronunciata dal vecchio stregone Vitruvius come Mastro Costruttore, destinato ad utilizzare il Pezzo Forte contro il subdolo e cattivo Presidente Business (!!!) e il suo esercito di robot e scheletri, in procinto di utilizzare l’arma finale e definitiva contro i mattoncini, il Kragle.
Anche qui, l’intuizione brillante di utilizzare come antitesi della fantasia e della libertà d’azione dei LEGO una colla (“KRAzyGLuE” con lettere sbiadite e/o pronuncia storpiata di bambino) permette molte evoluzioni di trama e soprattutto crea nello spettatore quel feeling vissuto almeno una volta nella vita di amore-odio per il caos e la fragilità, e l’istinto a voler “incollare tutto” per dare ordine.
C’è poi l’incipit, una distopia fantastica degna della miglior fantascienza, il cui assunto di fondo (rispettare le istruzioni = vivere felici) viene portato avanti per tutto il film e ribaltato con segno opposto per poi essere di nuovo riabilitato, in modo speculare, nel finale, creando un corto circuito di senso che non abbandona lo spettatore e lascia una giusta ambiguità (troppa creatività senza un’obiettivo = anarchia, caos, distruzione?).
Il tutto, condotto con mano sapiente dai due sceneggiatori-registi Lord e Miller, che orchestrano un cast variopinto (come non citare il meraviglioso Batman? Le comparsate di Han Solo e di uno stranito Lando Calrissian? E il povero Lanterna Verde costantemente sfottuto da Superman…) senza mai perdere la bussola, rispettando una narrazione fruibile da tutti ma aggiungendo elementi godibili dai più grandi, toccando vette di follia e nonsense grazie a gag fisiche e verbali con un fuoco di fila anche troppo esasperato. Quando poi si rallenta, non si rischia la secca della stanchezza ma si sente forse la mancanza di ulteriori approfondimenti: ma è una pecca di poco conto, di fronte a uno dei migliori cartoon degli ultimi anni e, ne sono certo, quello che sarà ricordato come uno dei migliori del decennio che stiamo vivendo.
In attesa dell’ormai certissimo sequel…
(dal blog di Giac)